Carlo Maria Martini, una vita di impegno per gli altri, una libertà di pensiero da seguire.

 Di Vincenzo Brancaccio

Carlo Maria Martini è morto lasciando colmi di tristezza quanti lo hanno apprezzato, stimato, amato, seguito, anche da lontano, con l’umiltà dei discepoli e quanti, non credenti o di religione non cristiana, lo hanno eletto come punto di riferimento.

Credo che più delle parole, a significare l’intensità del suo alto magistero di evangelizzatore, studioso, biblista, paladino del dialogo interreligioso, testimone della vera solidarietà verso gli immigrati, uomo di pace, valgano il cordoglio e “lo smarrimento” immediatamente espresso dalla comunità ebraica di Milano con la proposta di dedicargli i giardini della Guastalla, così come le bellissime parole di Giorgio Napolitano e, soprattutto, il bagno di folla, gente comune, semplice, genuina che ha visitato la camera ardente.

Uomo di “dubbio e di dialogo”, sicuro però della non mediabilità di alcuni valori cristiani, ha improntato il suo impegno di vita, dedicato agli altri, a testimoniare il Vangelo e il Magistero di Cristo più che solo a predicarlo, o, peggio, a raccontarlo ipocritamente.

Il suo pensiero e la sua testimonianza sono stati, saranno certamente, un faro per molti di noi cattolici democratici, i suoi insegnamenti, per tutti, un decalogo di vita e di impegno quotidiano.

Coraggioso e coerente, uomo libero e credente fino in fondo, anche nell’accettazione della lunga sofferenza e nel rifiuto, infine, di ogni accanimento terapeutico, ha saputo toccare e far vibrare le parti più interne del cuore della gente che lo ha visto aperto al confronto, rispettoso delle opinioni di tutti, pensoso rispetto anche ai suoi più intimi e forti convincimenti, pronto alla solidarietà.

Credo che il suo Magistero sia sintetizzabile in “Obbedienza e libertà”, obbedienza a Cristo attraverso una vera testimonianza di vita e di impegno, libertà di pensare, esprimere a tutti e sempre i propri dubbi, le proprie convinzioni, libertà di volersi sempre confrontare e voler sempre valutare le opinioni degli altri, unico modo per giungere alla verità, o almeno il più vicino ad essa, per saper operare scelte corrette, o le meno sbagliate possibili.

“Obbedienza e libertà”, quindi,  sintetizza al meglio la testimonianza di Carlo Maria Martini, tale binomio, peraltro, è anche il titolo dell’ultima, significativa opera di Vito Mancuso, fine teologo, coraggioso cattolico  che mai ha sacrificato la propria libertà di pensiero, anche quando ha affrontato temi delicati e, rigorosamente dall’interno, assunto posizioni assai critiche verso alcuni comportamenti della Chiesa cattolica.

E’ Mancuso poi che, fra gli altri, elegge a proprio metodo di indagine e di lavoro, di impegno teologico e civile, il motto di Carlo Maria Martini nell’affrontare l’impegno gravoso e difficile, nella Diocesi di Milano, “Adversa pro veritate diligere”.

Insomma un metodo quello del “gesuita” Martini assolutamente “francescano” e il francescanesimo, come osservò il dotto critico Antonino Pagliaro, è il più grande movimento rivoluzionario all’interno della Chiesa cattolica, tanto più efficace perché si mosse nell’ambito della più rigida ortodossia per recuperare alla Chiesa di Cristo i valori smarriti nell’esercizio del potere temporale.

Il mondo, quello dei nostri giorni, ha smarrito i valori cristiani e laici emblematici, ha sostituito l’egoismo alla solidarietà, la falsità all’amicizia, l’opportunismo alla gratitudine e al bene comune, ha reso fenomeno diffuso oligarchie decidenti che ignorano e vogliono ignorare la ricerca del confronto e del consenso in una società che vuole partecipare alle scelte che la riguardano; un mondo, quello di oggi, dominato dalla subcultura degli “ismi”, dal qualunquismo al populismo, all’unanimismo, dal giustizialismo al massimalismo, al berlusconismo ultimo gradino del  degrado etico, infine al demagogismo, vera insidia della democrazia come sostenuto da tanti nella storia del divenire dell’uomo, da Tommaso Hobbes a Gaetano Mosca.

Nel contesto storico che viviamo il metodo Martini è un faro luminoso in una notte senza luna, un’indicazione operativa ove si voglia veramente contribuire a disegnare un’ipotesi di futuro migliore e, prima ancora, è una lezione di vita, una linea tracciata e inderogabile per la ricerca di un rapporto corretto con gli altri e, quindi, del consenso.

E’ un faro di luce intensa verso la quale dirigersi per i cattolici democratici, per tutti i cattolici se si vuole dare un’ipotesi di concretezza all’appello di Bagnasco per una presenza più marcata e diffusa dei cattolici in politica, se si vuole rimanere fedeli agli impegni di Todi, se si vuole dare ad essi un minimo di concretezza.

La vera difficoltà di Todi è l’unità dei cattolici in politica che sembra, infatti, più un’utopia che una proposta concreta, tentata da Sturzo nel primo dopoguerra, e fallita sotto i colpi della violenza fascista, dell’ottusità socialista e dell’autoritarismo ecclesiastico; riuscita invece a De Gasperi, nel secondo dopoguerra, ma parliamo di  contesti diversi e di chi è ricordato accanto ad Adenauer, Shumann, Monnet fra i padri fondatori dell’Europa, di chi è riuscito a mettere insieme le diversità nel nome della tolleranza e del rispetto, dell’estremo rigore dei principi.

E’ certamente il metodo Martini un invito, direi un monito, alla tolleranza e al rispetto delle ragioni degli altri, valori ormai caduti nell’oblio e dismessi dalla politica, un invito al recupero alla società e al mondo dei valori forti, veri, paradigmatici.

Per noi cristiani Martini non è morto “in eterno”, non è morto nemmeno per i non credenti.

Non è morto per tutti quelli che ne seguiranno l’insegnamento che è senza età, appartiene al presente, ma è sicuramente nel futuro, per tutti quelli che vorranno improntare la loro testimonianza di impegno civile al suo “adversa pro veritate diligere”, nella speranza di convincere i tanti che, invece, testimoniano l’opposto, anche quando non dovrebbero.